Fino a pochi anni fa l’ignoranza veniva vista come disdicevole e per chi era proattivo, scoprire di non conoscere un argomento era un’ottima occasione per rimediare a questa condizione leggendo, chiedendo agli esperti, iscrivendosi a corsi e in ultima analisi, non riuscendo a capire l’argomento, perchè fuori dalla propria portata, si manteneva la dignità dichiarando che l’argomento non era nella propria area di competenza. La risoluzione di un caso medico veniva richiesto al proprio medico di fiducia, un’analisi geopolitica veniva letta su una rivista specializzata, per una teoria scientifica veniva richiesta la spiegazione ad un conoscente che per comprovati studi scientifici aveva possibilità di parola sull’argomento.
Di colpo abbiamo avuto accesso a qualsiasi risposta digitata sulla barra di Google e per le risposte su argomenti di cui non avevamo mai neppure minimamente pensato di interessarci, il classico video breve sui social ha attivato in noi la curiosità. Secondo la logica, con questi strumenti avremmo dovuto eliminare l’ignoranza, non avere più domande sospese a cui non sapere rispondere. La soluzione che avrebbe dovuto essere risolutiva al problema è diventata essa stessa il problema: la mancanza di un’alfabetizzazione di base ha portato persone all’apparenza normali a credere a qualsiasi teoria trovata sulla rete. Le teorie cognitive spiegano molto bene questa distorsione, a partire dallL effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media mentre esperti della materia tendono a sottovalutare la propria conoscenza.

Questa bulimia di informazioni disorienta le persone con bassa istruzione e debole alfabetizzazione scientifica. Li rende saccenti su temi fuori dalla propria portata e iniziano un percorso di auto-generazione di una cultura della disinformazione e del complotto. I temi di cui si nutrono sono i più complessi e una stessa persona riesce a parlare nello stesso momento di virologia e geopolitica con la stessa convinzione mentre entra in difficoltà nel leggere e comprendere delle semplici istruzioni.

Le prime volte l’analfabeta funzionale con molta vergogna affrontava questi temi in una discussione rendendosi conto della propria pessima preparazione. Navigando su internet, guardando video di complottisti e divulgatori di fake news ha rafforzato nel tempo la propria autostima. Ha preso coraggio e si è autoconvinto di sapere tanto quanto l’esperto che ha studiato anni quella specifica materia. Con l’aggravante di essersi convinto anche che i vari esperti siano corrotti e guidati da poteri forti. Iniziando così una avvolgimento in teorie del complotto e isolamento con persone che siano allineate con il proprio pensiero. I numeri e la crescita di questo fenomeno preoccupante sono stati previsti nel film Idiocracy , dove l’umanità intera si alimenta di cibo spazzatura davanti ad una televisione gigantesca che trasmette solo programmi idioti, grazie a questa deriva gli esseri umani sono diventati tutti stupidi, portando il mondo al limite del collasso ambientale e sociale. Il film è molto divertente, ma dopo averlo visto e con un occhio critico si guarda chi con maggior approfondimento intorno a noi, verificando che i numeri sull’analfabetismo funzionale sono reali e ci troviamo accerchiati di persone mediocri che credono di aver capito tutto iniziamo a preoccuparci.

Un’altra strana tendenza ha preso piede negli ultimi anni, quella delle persone mediamente migliori come cultura e preparazione di quest’ultima specie di analfabeti di ritorno: sono quelli che nonostante abbiano le capacità di analisi e sanno i propri limiti culturali, vista la numerosa deriva antisistema e anticulturale hanno la tendenza a detestare gli esperti che si contrappongono alla mancanza di cultura. I divulgatori che cercano di portare la conoscenza al di fuori delle aule universitarie, Burioni è un esempio, diventano antipatici anche a chi mediamente potrebbe fare la propria parte in maniera dignitosa, conoscendo il proprio limite e rimanere in ascolto sapendo selezionare gli esperti da seguire. Invece prevale il fastidio per chi ha avuto un successo (molto) maggiore di quello personale. Prevale l’insofferenza per una presunta mancanza di libertà che per alcuni deve essere superiore alle regole che impongono ad una società di vivere e prosperare. La propria libertà inviolabile deve superare qualsiasi confine anche quello della scienza e del vivere con civiltà. Non solo i complottisti si sono indignati per le regole che ci siamo dati per superare la pandemia, tra green-pass e obblighi vaccinali, ma anche la fascia di persone mediamente civili e acculturate si sono sentite infastidite dal dover seguire dei protocolli, regole e consigli da chi ne sa più di noi.

Questa tendenza ad allontanare la cultura e rimanere nella propria confort-zone dove basta “googolare” per ricevere una risposta che ci rassicura ha creato un nemico che è il radical-chic della cultura e del successo sociale. Chi ha avuto successo perché ha studiato, ha avuto maggiori possibilità di crescita personale e nella società conta più di noi, crea fastidio in particolare quando ci indica un percorso che può limitare una nostra libertà personale a favore di una garanzia sociale. Entra in questa fase il meccanismo del disimpegno morale : critico i comportamenti altrui e di chi vuole guidare con pragmatismo le scelte sociali, sanitarie, di convivenza e accoglienza ma quando poi rientro nel perimetro della propria vita, la prospettiva cambia. Le piccole regole di convivenza saltano. La propria libertà diventa prevalente su quella sociale. Se durante la pandemia sono state impostate delle regole per limitare il contagio e tutelare i fragili, la mascherina diventa un fastidio insopportabile, le limitazioni alla mobilità di alcuni brevi periodi sono completamente non da rispettare mentre quelle che riguardano gli altri, ad esempio sulla mobilità dell’immigrazione devono essere fatte rispettare anche con la forza e la mancanza di umanità. Quello che vale per la propria famiglia non vale per la comunità.

Su questa spinta per le proprie singole libertà, ignoranza e analfabetismo funzionale la politica ha le sue colpe. La spinta ad avere una comunicazione attrattiva che permette grazie alla paura di creare consensi è un fenomeno pericoloso. Ad esempio la sicurezza è un argomento che genera consensi inversi alla realtà, un solo fatto criminoso è di per se un problema, ma chiedendo se negli ultimi dieci anni è peggiorata la sicurezza nel proprio paese la risposta è quasi sempre positiva. La percezione dovuta a slogan populisti di una certa politica ha creato la percezione che il problema sicurezza è sempre maggiore e tendenzialmente in crescita.

Su questo e su altri argomenti politici e sociali si evidenzia quanto slogan, brevi video e frasi ad effetto abbiano distorto la percezione della realtà a milioni di persone in Italia e nel mondo. Nelle discussioni numeri e percentuali non vengono presi neppure in considerazione ma si portano avanti tesi che sono entrate in testa grazie alla bravura di chi ha lanciato lo slogan. Consideriamo inoltre che il 30% degli italiani non è in grado di capire una percentuale e di confrontare due percentuali con numeri assoluti differenti.
E’ giusto accusare chi segue queste teorie del complotto e chi segue fideisticamente delle idee non supportate da numeri e fatti concreti ? E’ giusto essere indignati per il falso concetto che sia democratico paragonare il valore della mia ignoranza come quello della tua cultura ? In ogni ambito questa democrazia dell’ignoranza è pericolosa. In ambito sanitario, delle scienze, della politica è dannoso che due persone con differenti culture possano dire con la stessa voce la propria opinione. Questa opinione può poi portare a delle scelte che coinvolgeranno l’intera società con effetti disastrosi. Siamo sempre stati convinti che la democrazia sia il metodo di governo corretto, ma oggi siamo ad un bivio tra democrazia ed epistocrazia.
L’epistocrazia è una forma di governo in cui il diritto di voto è subordinato alla conoscenza degli argomenti.[1]
È un sistema contro l’incapacità, l’impreparazione e la non conoscenza, e che prevede l’accesso all’elettorato attivo a tutti i cittadini che possiedono le conoscenze fondamentali ad esprimere un giudizio autonomo di voto e all’elettorato passivo a tutti i cittadini che dimostrano preparazione e idoneità a ricoprire una specifica carica istituzionale. Questo concetto vale per il voto politico ma deve valere per tutte le scelte che coinvolgono il singolo quando le proprie decisioni condizionano la società

Oggi vengono invertiti i valori. Chi è ignorante e parla di qualsiasi argomento è visto come un eroe della libertà, che combatte contro i poteri forti, contro le imposizioni dall’alto. Chi invece ha studiato, ha avuto successo e ha una posizione all’interno della società viene accusato di essere parte di un’èlite, di essere radical chic, di prendere parte alle decisioni importanti solo per un ritorno personale e per logiche di corruzione o interesse personale. A questo punto dobbiamo fare una scelta, giustificare la cultura dell’ignoranza, del falso mito dell’uno vale uno che ha corrotto gli ultimi anni della discussione pubblica. Il mio parere non vale come quello, su un tema scientifico, del Nobel della fisica Giorgio Parisi, e non può valere la mia idea di immunità di gregge rispetto a quella dell’odiato “virostar” che divulga la sua materia in televisione. E’ il momento di fare questa scelta e stigmatizzare gli ignoranti, elevando il ruolo degli intellettuali. Chi ha studiato, ha una visione del mondo da una prospettiva elevata perché ha fatto un percorso di studi e continua a leggere e a rimanere informato, se viene chiamato radical chic in maniera dispregiativa deve prendere questa etichetta come un vanto. E’ un orgoglio essere un intellettuale, una persona di cultura che legge e ha una visione del mondo grazie agli occhiali del pragmatismo e dell’istruzione.

Cosa possiamo fare nel nostro piccolo ? La prima regola è non perdere tempo con la prima categoria, quella dei complottisti che sono convinti delle proprie infinite competenze. E’ tempo perso, non cambieranno mai idea e ci sfiniranno con deliranti tesi lette a caso su internet. Allontaniamoci dalla seconda categoria, quelli che pensano che uno vale uno, che seguono le teorie populiste e non ragionano con il pragmatismo. Affrontando una discussione senza numeri, e riferimenti culturali saprete subito che la discussione è da interrompere. Con chi invece fa domande e non impone ricette, chi discute mettendo in discussione i numeri, vi indica esempi con riferimenti a libri letti e da leggere, potete aprire la discussione. Sono molto preoccupanti le tendenze di un certo corrente complottista, populista che rivendica finte libertà personali. Tenendo alto l’orgoglio per l’interesse sulla lettura, rivendicando gli intellettuali come esempi positivi e i radical chic come esempio positivo di chi ha avuto successo, possiamo nel nostro piccolo dare un esempio che possa convincere quella parte di persone che oggi sono nel mezzo, disorientati tra teorie suicide e una cultura accusata di essere èlite.

Andiamo controcorrente : passeggiamo con un libro in mano, pubblichiamo sui social la recensione di un libro, demonizziamo ignorandoli i complottisti e i difensori di una falsa libertà, esaltiamo gli intellettuali avendo il coraggio di affermare che chi viene indicato come radical chic,chi ha un rolex e una posizione sociale li ha ottenuti perché con lo studio, l’impegno e la costanza se li è guadagnati grazie a parole oggi abusate che sono competenza e merito. E se veniamo accusati anche noi di essere radical chic prendiamolo come un complimento e come il raggiungimento di un nobile obiettivo.